Cgil: aumento dell’occupazione? Dovuto a crollo persone in età da lavoro e precariato

CGIL, logoNel mese di ottobre del 2023, l’occupazione in Italia ha raggiunto un livello di occupati di circa 23,7 milioni e un tasso di occupazione del 61,8%. È certamente una buona notizia quando l’occupazione nel suo complesso aumenta, ma siamo sicuri che vada tutto bene? A porsi la domanda è stato l’ufficio economia dalle aree politiche per lo sviluppo e mercato del lavoro della Cgil nazionale, che ha esaminato il rapporto dell’Istat sull’occupazione a ottobre 2023 e ha rilevato dati allarmanti.

In primo luogo, spiega la Cgil, alla crescita del tasso di occupazione non ha contribuito solo l’aumento degli occupati, ma anche il contestuale e drastico calo della popolazione in età da lavoro (circa -1,7 milioni).

Alla luce di questo fattore, il tasso di occupazione, aumentato del 3,5% dal 58,3% di ottobre 2008 (anno a partire dal quale si sono succedute diverse crisi) al 61,8% di ottobre 2023, assume un altro aspetto. “Se la popolazione lavorativa fosse rimasta la stessa di ottobre 2008, il tasso di occupazione ad ottobre 2023 si sarebbe attestato al 59,1%, crescendo soltanto di uno 0,8% e rimanendo ancora sotto il 60%. Questo mette in luce come la questione occupazionale in Italia, dal punto di vista demografico, abbia già assunto caratteristiche allarmanti”, precisa l’analisi.

La qualità del lavoro: in 15 anni tasso di precarietà dipendente aumentato del 2,6%

Inoltre, rispetto a ottobre 2008, l’incremento complessivo dell’occupazione è il frutto della contestuale crescita dei lavoratori dipendenti (+1,5 milioni) e della diminuzione degli indipendenti (-743.000). Esaminando i lavoratori dipendenti, la Cgil osserva una crescita dell’occupazione di bassa qualità: sono aumentati del 30,2% gli occupati a termine, che hanno raggiunto quota 3 milioni, in particolare stagionali, somministrati, tempi determinati, intermittenti e con contratti di prestazione occasionale. Il contributo complessivo alla crescita degli occupati è quindi dovuto per circa la metà all’aumento di quelli a termine: nell’arco degli ultimi 15 anni, il tasso di precarietà dipendente è aumentato dal 13,1 al 15,7% (+2,6 punti percentuali).

Nel rapporto si evidenzia la riduzione delle ore lavorate pro-occupato dipendente e si sottolinea come sia proprio il lavoro non standard, caratterizzato da forte discontinuità contrattuale e bassa intensità di lavoro, ad incidere pesantemente sulle retribuzioni medie di oggi e sulle pensioni di domani.

Lo studio si sofferma, in particolare, sulla crescita del tasso di part-time involontario, che è il più alto dell’Eurozona ed è passato dal 41,3% del 2008 al 57,9% del 2022. “Elaborando i dati di contabilità nazionale (Istat), emerge come nel terzo trimestre 2008 le ore medie lavorate da un occupato dipendente fossero 413 mentre nello stesso trimestre del 2023 sono 402, cioè 11 ore in meno per occupato dipendente a trimestre. Se gli occupati dipendenti di oggi lavorassero lo stesso numero di ore pro-capite del 2008 avremmo circa 219 milioni di ore lavorate in più nel relativo trimestre. L’aumento dell’area del lavoro precario è confermato anche dalla crescita molto più intensa degli occupati dipendenti complessivi rispetto alle unità di lavoro dipendenti che esprimono un’occupazione a tempo pieno. È, quindi, proprio il lavoro non-standard – caratterizzato, fra i vari elementi, da una forte discontinuità contrattuale e da una bassa intensità di lavoro – che incide pesantemente sulle retribuzioni medie di oggi e inciderà, di conseguenza, anche sulle pensioni di domani”, si legge nel report.

Confronto con l’Europa: Italia fanalino di coda per l’occupazione

Infine, i dati dell’Istat evidenziano comunque un’Italia fanalino di coda per l’occupazione. Nel secondo trimestre 2023, il tasso di occupazione italiano è ancora il più basso (61,8%) di tutta l’Unione Europea ed è nettamente inferiore rispetto a quello della Germania (77,5%), Francia (68,7%) e Spagna (65,8%). A questo bisogna aggiungere che l’Italia ha un tasso di inattività (33,3%) che è il più alto dell’Eurozona e che si attesta ad un livello decisamente superiore rispetto a quello tedesco (20,1%), francese (26,2%) e spagnolo (25,6%). “Come mostrato dalle ricerche condotte dalla Fondazione Di Vittorio, tra gli inattivi in Italia si nasconde un’ampia platea di disoccupati sostanziali”, precisa la Cgil.