È arrivato il momento di aprire una discussione sul contratto che lega i consulenti finanziari agli intermediari. A lanciare la proposta è la Federpromm (Federazione intercategoriale consulenti, promotori finanziari, operatori dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi).
Per il sindacato, all’interno del sistema bancario avanza una linea di pensiero che fatica a inquadrare correttamente il problema della figura di consulente finanziario, “che svolge la propria attività professionale con funzioni e responsabilità di rilievo senza una precisa collocazione per il ruolo svolto, invece ben definita per altri operatori strutturalmente riconosciuti”.
Secondo la Federpromm è necessario arrivare ad un nuovo, univoco e specialistico assetto contrattuale destinato a regolamentare il rapporto tra l’intermediario e il consulente finanziario.
Cosa prevede la legge e cosa accade
Se infatti il Testo unico della Finanza definisce il consulente finanziario come colui che, “in qualità di agente collegato, esercita professionalmente l’offerta fuori sede come dipendente, agente o mandatario” e prevede che debba essere legato all’intermediario da un contratto di lavoro subordinato, di agenzia commerciale oppure di mandato, nella realtà “da qualche anno per i più grandi gruppi bancari avanza una forma di ‘contratto ibrido’ con connotazioni sia di lavoro subordinato sia autonomo (un contratto misto)”.
Questo contratto misto viene stipulato, secondo la Federpromm, “senza che siano stati definiti a livello di contrattazione nazionale i termini dei vari aspetti di natura economica, previdenziale e di welfare”.
In realtà, sono elementi che “hanno trovato spazio nella contrattazione di secondo livello secondo le strategie aziendali portate avanti dai vari istituti bancari, che, comunque, hanno sicuramente una logica legata anche al ricambio generazionale oltre che una riduzione dell’incidenza dei costi del personale”.
La necessità di una modifica ai Testi unici
Per inquadrare bene il problema, precisa la Federpromm, forse è utile far riferimento alla normativa che disciplina il settore dell’intermediazione finanziaria di livello europeo. Infatti, nella direttiva europea 2014/65 (Mifid 2) l’agente collegato è individuato come la “persona fisica o giuridica che, sotto la piena e incondizionata responsabilità di una sola impresa di investimento per conto della quale opera, promuove …”. Tale direttiva “non prevede una forma specifica del contratto destinato a regolare il rapporto tra l’impresa di investimento e l’agente collegato, lasciando, in questo, ampio margine di discrezionalità agli Stati membri. Problematica quest’ultima che consentirebbe una modifica al Testo Unico della Finanza e dello stesso Testo Unico Bancario”.
Tuttavia, aggiunge il sindacato, non sembra esserci l’intenzione di aprire un negoziato in tal senso.
I conflitti di interesse
A prevalere è la tipologia di natura contrattuale dell’agenzia commerciale, “a cui le banche si stanno orientando per abbattere la parte di retribuzione fissa con quella variabile”. Uno schema negoziale che poco si adatta alle peculiarità dell’attività del consulente finanziario, poiché “nell’esecuzione dell’incarico l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede. In particolare, deve adempiere l’incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute …”(articolo 1746 c.c.).
Tradotto in termini pratici: “nelle reti distributive degli intermediari i consulenti finanziari agenti dovrebbero promuovere i prodotti o perlomeno spingere di più le categorie di prodotti più gradite alla mandante”.
Questo aspetto, secondo la Federpromm, sottintende un conflitto di interesse e mette il consulente in una posizione scomoda: “è chiamato, quotidianamente, a decidere se conservare il ‘posto di lavoro’, evitando condotte commerciali che contrastino con le indicazioni della mandante ma esponendosi al rischio che poi il cliente risparmiatore contesti le scelte di investimento, con tutti gli annessi e connessi a livello di reclami, segnalazioni all’autorità di vigilanza ed eventuali segnalazioni alla autorità giudiziaria”. Peraltro, “ove il consulente sia inquadrato come lavoratore subordinato, come accade nelle reti bancarie, in virtù del vincolo gerarchico e del dovere di fedeltà che connotano questa tipologia contrattuale, la criticità assume ancora maggior peso”.
Federpromm sostiene inoltre che, a livello retributivo, lo schema dell’agenzia lasci “all’intermediario (latamente inteso) infinite possibilità di inventare e imporre i più svariati e spesso oscuri meccanismi provvigionali e premiali, a iniziare dalle condizioni di maturazione, fattuali ma anche di tempo, legate ai compensi dei consulenti finanziari”.
La proposta
Di qui la proposta: “Forse è il caso di aprire per il sindacato – soprattutto per le figure apicali che hanno ruoli e responsabilità diretta – una seria discussione sui temi sopra evidenziati e coinvolgere associazioni di rappresentanza ed istituzioni che è arrivato il momento di agire”.