Federpromm: il lavoro flessibile avanza in banca. Riflessioni sulla crisi della consulenza

Federpromm LogoAlcuni dati recentemente pubblicati evidenziano come vi sia un processo unitariamente condiviso tra strutture direzionali del personale e organizzazioni sindacali che mette in risalto come i principali gruppi bancari stiano adottando il “lavoro flessibile” per favorire un clima di collaborazione volto a dare maggiori soddisfazioni personali e familiari ai lavoratori e contestualmente aumentare la produttività.

Il gruppo bancario più significativo, quale Intesa Sanpaolo, per esempio a fine 2023 ha dichiarato che hanno aderito al lavoro flessibile 74.600 bancari, ossia la pressoché totalità del personale, a dimostrazione che la flessibilità è uno dei temi maggiormente richiesti e sentiti dai lavoratori, soprattutto per conciliare vita e lavoro.

A fare il punto sulla situazione è il sindacato Federpromm (Federazione intercategoriale consulenti – promotori finanziari – operatori dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi), secondo cui “tale condizione, valutata attraverso un’analisi oggettiva di tutto il sistema creditizio e finanziario, trova le sue spiegazioni logiche e politiche legate ai nuovi processi di trasformazione  che coinvolgono  tutto il settore determinato dall’applicazione massiccia ed inevitabile della tecnologia  avanzata e della AI”.

In questo articolato quadro di riferimento, la Federpromm ritiene necessario fare chiarezza intorno alla complessa problematica che sta coinvolgendo le fasce alte del personale bancario (quadri, funzionari e dirigenti) e i consulenti finanziari da una parte e le grandi lobby bancarie e finanziarie dall’altra che impone “oggi più che mai al sindacato , quale parte sociale rappresentativa degli interessi di queste categorie, una precisa presa di  coscienza della realtà del processo di cambiamento in atto che sta interessando tutto il mercato finanziario, creditizio italiano e non solo”.

Con l’entrata in vigore della Mifid e dal gennaio 2018 con la Mifid II, vi è stata una profonda modificazione degli assetti strutturali, organizzativi, gestionali e commerciali delle banche e delle società di intermediazione e delle attività ad esse riservate. Una rivoluzione che con l’applicazione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Tic) e dei nuovi processi legati al fintech ha rimesso in discussione i tradizionali modelli dell’organizzazione aziendale e del lavoro con la conseguenza che anche la sua struttura interna e commerciale (di funzioni, di ruoli e di responsabilità) sono destinate – pena la loro fuoriuscita dal mercato – a simili mutamenti. Il lavoro flessibile ne è solo una tiepida conseguenza che non affronta i temi strutturali del problema.

Ben venga il lavoro flessibile, certamente! Ma alcune domande sono cruciali: in che modo e in che termini verranno instaurati i nuovi rapporti sociali e chi li condizionerà? Sarà garantito ancora il posto fisso che nell’attuale organizzazione del lavoro era ed è ancora considerato un punto di riferimento stabile nel tempo? Questi alcuni degli interrogativi a cui il sindacato dovrà dare necessariamente una coerente risposta; altrettanto i lavoratori, i dirigenti e i professionisti come i consulenti finanziati, siano dipendenti che con mandato di agenzia”, afferma il presidente della Federpromm, Manlio Marucci.

I sintomi del cambiamento, derivanti anche dalla pesantissima crisi internazionale, sono, secondo il sindacato, già evidenti: “la forza lavoro del sistema bancario dal 2008 è fortemente ridimensionata: dai 338.000 a circa 280.000 e il numero delle dipendenze è calato da 35.000 a 24.000 dallo stesso periodo (fonte Abi ). Quasi tutti i gruppi bancari e/o assicurativi e le imprese di investimento stanno ripensando a fondo nuove politiche di strategie aziendali scaricando le contraddizioni che ne derivano sul personale dipendente, sulle fasce apicali e per i consulenti finanziari esterni riducendone i ricavi variabili derivanti dalle commissioni”.

Al riguardo la Federpromm ricorda come dopo la forte pressione esercitata durante il varo del Tuf (Testo Unico della Finanza – 1998) dalle associazioni datoriali, “queste siano riuscite allora nell’intento di far approvare un articolato che consentisse ai bancari con i relativi requisiti di poter accedere a una nuova professione per l’iscrizione all’albo dei PF (oggi CF) quale quella del consulente finanziario senza che questi si rendessero conto della pericolosità che presenta ancora oggi un lavoro autonomo per nulla tutelato”.

Il meccanismo perverso che si è voluto imporre con il Decreto lgs n.58/1998, già in essere con il decreto Eurosim del 1996 (D.Lgs n.415/96) e ancor prima con la legge sulle SIm del 1991 (n.1/91), ha avuto ed ha un duplice scopo: da una parte quello di “drenare” dalla banca verso un mercato del lavoro non protetto il personale in esubero, senza che questo personale si renda conto dei pericoli che corre; dall’altra parte  ‘ammortizzare’ il costo del personale sul conto economico degli istituti di credito, oggi particolarmente favorito  anche dagli utili conseguiti con gli aumenti dei tassi – prosegue Marucci -. Una politica ben architettata, addolcita con il lavoro flessibile, e dai recenti aumenti contrattuali che offuscano i problemi di fondo che invece rimangono presenti e pieni di incertezze per il futuro. È un segnale che va captato per la sua portata politica e sociale. È arrivato il momento per il sindacato dei quadri e dirigenti di un’analisi critica e di un ripensamento al suo interno per non lasciare governare ancora tale importante questione solo ed esclusivamente ad una sola parte, ovvero ai datori di lavoro, la gestione del ricco patrimonio e del risparmio delle famiglie italiane”.