Il Gruppo Cariparma Crédit Agricole lancia “Orizzonte Latte” per il sostegno della filiera lattiero-casearia

Un finanziamento importazione per acquistare capi adulti dall’estero e un conto anticipo conferimenti per disporre il prima possibile degli incassi della vendita di latte “crudo”, oltre a leasing strumentali per investire in macchinari (es. macchine da mungitura) e finanziamenti per favorire la produzione di energia da biogas. Sono alcune delle soluzioni previste dal terzo pacchetto “di filiera”, Orizzonte Latte, lanciato dal Gruppo Cariparma Crédit Agricole. I bisogni delle aziende che operano nel lattiero caseario sono tanti e variegati, spiega una nota, e sono stati analizzati con dettaglio dal gruppo bancario che punta a diventare partner privilegiato dell’agroalimentare italiano.

Se l’acquisto di materia prima dall’estero è un bisogno importante per chi opera a monte della filiera (allevamenti e latterie), la possibilità di finanziamenti con merci a pegno è invece un’esigenza dei trasformatori che devono gestire tempi lunghi di stagionatura e, perché no, cercare di ampliare gli spazi dedicati a questa delicata fase di produzione di formaggi, spesso cercando di valorizzare il proprio prodotto con certificazioni DOP e IGP.

I gestori della rete che seguono la clientela agri agro hanno ricevuto una formazione specifica sul settore e sulla filiera grazie anche alla collaborazione con partner d’eccezione: da un lato Granarolo, azienda leader del settore, ha portato la propria esperienza diretta in aula, dall’altro Nomisma, partner consolidato del Gruppo Bancario, ha realizzato un’indagine volta a fotografare le principali caratteristiche della filiera. I dati, del resto, hanno confermato come la produzione di latte alimentare, formaggi e altri derivati caseari rappresenti il primo comparto produttivo dell’industria alimentare italiana in termini di fatturato.

Circa il 10% della ricchezza totale prodotta dal settore primario è di pertinenza degli allevamenti di animali da latte e il 13% del valore aggiunto dell’industria alimentare riguarda imprese che producono latte alimentare e derivati.

I valori economico produttivi sono determinati dalla presenza di un tessuto agricolo e industriale fortemente specializzato e con un livello di integrazione abbastanza elevato.

A monte della filiera troviamo circa 120.000 aziende zootecniche di cui oltre il 40% impegnato in allevamento di vacche da latte e bufalini (2 milioni di capi) che rappresentano all’incirca il 20% del totale capi allevati ma che generano un valore economico di oltre 4 miliardi di euro. Come per la filiera della carne, anche nel lattiero-caseario ci sono 3 regioni (Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) che producono ben il 62% di questa ricchezza.

Gli allevamenti di ovini e caprini, concentrati principalmente in Sardegna, Sicilia, Lazio e Toscana, producono una ricchezza inferiore ai 500milioni di euro con circa 7 milioni di capi allevati.

Lo stesso scenario si individua a livello industriale. La struttura produttiva che trasforma, valorizza e commercializza la materia prima agricola conta più di 3.100 imprese che producono 2,7 milioni di tonnellate di latte alimentare, circa 100mila tonnellate di burro e quasi 1,2 milioni di tonnellate di formaggi (il 42% DOP) a cui si aggiunge la produzione di gelati. Si tratta di uno sforzo produttivo capace di generare quasi 15 miliardi di euro di fatturato, peri al 12% dell’intero fatturato dell’industria alimentare italiana. Questo anche a fronte della maggior dimensione media delle imprese, quasi tripla rispetto al complessivo universo di appartenenza (alimentare e bevande).

Il tessuto industriale rappresenta il naturale sbocco commerciale per gli allevamenti da latte dato che la quasi totalità di latte “crudo” prodotto dagli allevamenti italiani viene utilizzato come materia prima per la produzione di latte alimentare, formaggi e altri derivati (es. burro e yogurt). Ecco da cosa deriva il forte livello di integrazione della filiera nelle sue diverse fasi produttive che diventa ancora più accentuata in corrispondenza delle principali o più rinomate produzioni casearie a denominazione di origine come il Parmigiano Reggiano, la cui produzione passa per i 2/3 attraverso strutture cooperative, fortemente concentrate nella pianura padana e che, nell’industria lattiero casearia hanno un ruolo di primo piano con un fatturato complessivo di 7 miliardi di euro, 12.000 addetti e circa 36 mila allevatori associati. Alle cooperative va anche il merito di aver agevolato l’integrazione tra monte e valle della filiera in quanto, da sempre, la cooperazione rappresenta uno dei principali strumenti con i quali il mondo agricolo ha cercato di limitare le proprie criticità strutturali, organizzative e commerciali derivate da un assetto produttivo polverizzato.

Non a caso, Emilia Romagna e Lombardia si confermano i bacini produttivi in grado di concentrare il maggior valore generato a livello industriale e i maggiori risultati ottenuti dal punto di vista dell’export (i 2/3 delle vendite di latte e derivati fa riferimento a imprese localizzate in queste due regioni così come da qui provengono i 2/3 delle esportazioni – 40% dalla Lombardia e 21% dall’Emilia Romagna). Quello dei formaggi è l’unico comparto della filiera a presentare una bilancia commerciale in attivo di circa 220 milioni di euro, rappresentando oltre il 90% delle esportazioni nazionali di prodotti lattiero caseari. Quattro paesi europei rappresentano la destinazione del 52% delle nostre esportazioni. Si tratta di Francia, Germania, Regno Unito e Spagna.

@RIPRODUZIONE RISERVATA