È arrivato il momento di dare piena legittimazione al ruolo del consulente finanziario, superando la connotazione negativa che ha accompagnato negli ultimi decenni la definizione di “promoter” e riconoscendo la sua funzione di intermediario ed educatore nel rapporto con l’investitore e la società civile. In un’ottica di trasparenza e tutela del risparmio. A sostenerlo è Manlio Marucci, presidente della Federpromm (Federazione Intercategoriale Consulenti Finanziari, operatori dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi), affiliata Uiltucs (Unione Italiana Lavoratori Turismo Commercio Servizi). Con l’obiettivo di superare la confusione linguistica tra promotore e consulente e rivalutarne l’immagine, Marucci ha esaminato le origini storiche di una professione riconosciuta a livello normativo una trentina di anni fa.
“L’accezione negativa del termine consulente finanziario affonda le sue radici in un momento storico ben preciso: il riordino del mercato finanziario italiano e della Borsa Italiana avvenuto nel 1991 con la legge sulle Sim, che ha introdotto la figura del consulente come ‘promoter’ (promotore dei servizi finanziari) – spiega Marucci -. La fretta di ottenere risultati immediati ne ha ridimensionato il ruolo, relegandolo a una posizione marginale, se non subalterna, nel contesto della funzionalità del mercato finanziario italiano”.
Procediamo con ordine. Cosa successe alla fine degli anni ’80 del secolo scorso?
Nel 1989 l’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato si fece portavoce di una proposta di disegno di legge che aveva come obiettivo la regolamentazione della ‘Disciplina di Intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari’. Il testo della proposta di legge n. 3870 Camera dei Deputati, approvata poi dal Senato nella seduta del 27 aprile 1989, gettava le basi per un riordino generale del mercato finanziario italiano e della stessa Borsa Italiana. E mirava ad allineare l’Italia agli altri Paesi della Comunità Europea, allora molto più avanzati in tale settore.
La formulazione della struttura del testo di tale ddl, che non citava i consulenti finanziari, promosse un vivace dibattito tra tutte le forze politiche e i soggetti direttamente interessati. Questi ultimi, attraverso azioni mirate, fecero apportare all’articolato dello stesso disegno di legge alcune modifiche per introdurre la figura del consulente finanziario. Assegnato alla Commissione Finanze in sede referente, il testo suscitò un grande interesse da parte della comunità finanziaria e della stampa. Ne nacquero pareri molto discordanti, che influenzarono l’andamento dell’iter legislativo per la sua definitiva approvazione, tanto che l’Istituto di Studi Parlamentari promosse un convegno specifico sul tema a marzo 1990.
Come andò a finire?
Durante questa fase il presidente della Commissione Finanze, l’onorevole Francesco Piro, e il presidente dell’Anasf, Francesco Priore, riuscirono a far inserire, con un ragionevole compromesso, la figura del già consulente finanziario, accettandone però la nuova denominazione restrittiva di ‘promotore dei servizi finanziari’ (ex art.5- l. 1/91), con il vincolo nello svolgimento della sua attività professionale come ‘monomandatario’ e come ‘persona fisica’ nel solo interesse di un singolo intermediario.
Questo cosa ha determinato?
Questa combinazione di elementi tradiva la formazione culturale e le aspirazioni professionali degli oltre quindicimila consulenti finanziari allora operanti nel mercato delle reti di collocamento. Per lunghissimi anni tale modello così configurato è stato assimilato più ad un ‘promoter’, ovvero un classico venditore di fondi e polizze, ancor più se la sua identificazione veniva associata all’agente e rappresentante di commercio. In sostanza, un classico operatore di prodotti e servizi da banco. Applicando quasi totalmente il modello contrattuale di agenzia si è impedito di fatto di conferire neutralità al ruolo del consulente finanziario.
Si sarebbe potuto agire diversamente?
L’ideale sarebbe stato avere meno fretta e prestare maggiore attenzione alla proposta di legge per l’istituzione dell’albo dei ‘consulenti finanziari’ presentata nel marzo del 1990 da 18 senatori, con primo firmatario il senatore Giuseppe Guzzetti. Una proposta che dava pieno riconoscimento e legittimità giuridica, soprattutto sotto l’aspetto professionale, al consulente finanziario, considerato alla stessa stregua delle altre figure già regolamentate, e cioè medici, ingegneri, architetti, avvocati e commercialisti.
Tuttavia, contestualizzando, il legislatore non aveva molta scelta poiché gli interessi dominanti delle forze in campo e le pressioni politiche esercitate sul sistema finanziario hanno fatto sì che il promotore nascesse come un’appendice funzionalmente necessaria delle logiche degli intermediari, che, forti di catturare il risparmio delle famiglie italiane, avevano necessità di strutturare una figura professionale su cui scaricare eventuali contraddizioni e senza nessuna incidenza di costo sul proprio conto economico. Va inoltre precisato che le ragioni di fondo che portarono a scegliere la denominazione di ‘promotore dei servizi finanziari’ per l’offerta fuori sede furono anche di natura tecnica, poiché il nome di consulente finanziario confliggeva con la identificazione del termine consulenza, che era invece attività primaria autorizzata per le Sim.
Qual è la situazione a trent’anni di distanza dall’approvazione della legge sulle Sim?
La figura professionale ha impiegato più di 25 anni per riaccreditarsi presso la comunità degli investitori, anche con l’ausilio e le sollecitazioni di applicazione di norme comunitarie (Mifid I e Mifid II), che hanno dato corpo organico all’interno del sistema creditizio, finanziario e assicurativo italiano. Prima dell’ufficializzazione del ripristino del termine ‘consulente finanziario’, avvenuta nel 2016, i soggetti coinvolti hanno cercato di conferire una certa neutralità al ruolo dei propri promotori, utilizzando denominazioni diverse: consulente finanziario super partes, financial advisor, wealth manager, personal banker, life banker, family banker, private advisor, personal financial advisor, private banker, bancario ambulante. Allocuzioni che, da un lato, hanno offuscato la trasparenza nei confronti dei propri interlocutori diretti (clienti) e, dall’altro, non hanno dato una nuova identità al mercato. Piuttosto cercavano di mascherare goffamente un’ideologia ben strutturata e tesa a trovare in un linguaggio esoterico meccanismi di difesa e a dichiarare, in termini propagandistici di richiamo anglosassone, che la funzione della consulenza finanziaria fosse la migliore possibile.
I cambiamenti terminologici hanno avuto conseguenze a livello pratico?
La Consob, quale Authority di vigilanza, non ha ritenuto di intervenire direttamente sui vari termini adottati dai singoli intermediari, ritenendo che la nuova determinazione dell’uso di consulente finanziario sia sufficientemente esplicativa, poiché regolamentata. E la nuova qualifica identificata dalla legge per il consulente finanziario iscritto all’albo non è mai stata presa in considerazione dai sindacati del credito nell’ambito dell’inquadramento del contratto collettivo di settore, cosa che avrebbe dato dignità sul piano giuridico-normativo a tali qualificati professionisti. La natura prevalente del modello contrattuale più applicato, e cioè quello di agenzia, è oggi da più parti criticato per le sue contraddizioni interne e non solo sul piano previdenziale. Un errore politico imperdonabile, se si pensa che questa condizione non ha ancora oggi trovato una soluzione organica all’interno del sistema creditizio, nonostante l’importanza che viene riconosciuta alla consulenza e all’assistenza offerta da tali professionisti nella pianificazione del patrimonio della clientela e ancor più nella funzione di educatore finanziario. Il tutto per una corretta trasparenza del mercato.