Il monitoraggio del mercato immobiliare delle località turistiche italiane restituisce un quadro di evidente fragilità. Questo, in sintesi, il giudizio contenuto nell’ultima analisi di Nomisma sul mercato immobiliare turistico 2012. La capacità di tenuta dei prezzi dimostrata negli scorsi anni, si legge nel report, nonostante una contrazione dei livelli di attività (solo leggermente più contenuta rispetto a quanto registrato nelle aree urbane), mostra evidenti segnali di cedimento.
La drastica riduzione della domanda, sia italiana che straniera, ha spinto in molti casi l’offerta a ridimensionare le richieste, determinando un arretramento dei valori medi di mercato. Il calo che ne è scaturito è risultato più marcato rispetto a quanto registrato a livello medio nazionale, a conferma che la componente di investimento del settore immobiliare risponde a logiche in parte diverse rispetto a quella di utilizzo.
Il fattore tempo in un contesto recessivo rappresenta, infatti, un elemento da tenere in stretta considerazione, specie in presenza di una redditività da locazione quasi sempre inadeguata anche a seguito di una fiscalità fattasi più gravosa. A pesare sulle dinamiche non è tanto l’IMU in sé (la cui incidenza in rapporto al valore del cespite risulta in linea generale contenuta), quanto la percezione che l’investimento immobiliare rappresenti l’obiettivo privilegiato delle manovre di finanza pubblica. Il valore “segnaletico” dell’immobiliare, associato alla tendenza ribassista, ha spinto in taluni casi a cercare di accorciare i tempi di disinvestimento. In un contesto illiquido, in virtù di una domanda a dir poco rarefatta, ciò si è tradotto in una tendenza alla flessione dei prezzi che nell’immediato non pare destinata ad attenuarsi.
A risultare penalizzate sono state sia le località più rinomate, in cui è prevalsa la spinta all’uscita opportunistica dal settore (redditività e fiscalità prospettica), sia in misura lievemente più attenuata quelle di “seconda fascia”, dove è invece la pressoché totale assenza di domanda, in parte legata al drastico ridimensionamento del credito al settore, ad avere accelerato il movimento ribassista.
Per una quota non trascurabile dei proprietari l’investimento immobiliare presenta oggi un livello di rischiosità implicito che non ha nulla a che vedere con la percezione di sicurezza che invece tuttora caratterizza la rilevante domanda potenziale di acquisto di prima casa. Una disponibilità a rivedere le aspettative di prezzo alimentata da un’esigenza di alleggerimento tattico che, tuttavia, ad oggi, non ha consentito una ripresa dell’attività transattiva.
Il tracollo registrato nella prima parte dell’anno conferma la latitanza della domanda e lascia presagire un’accentuazione delle dinamiche recessive. Se, infatti, imprese e banche non sembrano ancora aver maturato la consapevolezza dell’esigenza di un generalizzato repricing, ponendo di fatto gran parte dell’offerta di nuova realizzazione fuori mercato, diversa appare la situazione sul versante privato, dove i segnali di cedimento appaiono più evidenti.
Non dissimile appare la situazione sul versante locativo, se si eccettua una riduzione dei canoni leggermente più contenuta rispetto a quella dei prezzi. Il tentativo di difesa della redditività a copertura dell’aggravio fiscale ha indotto un approccio conservativo dal punto di vista delle aspettative di reddito, che mal si concilia con la debolezza del quadro economico complessivo e la conseguente spinta delle famiglie ad incrementare la quota degli accantonamenti prudenziali per far fronte alle aspettative recessive.
Lo scenario per il settore locativo pare, comunque, piuttosto incerto. Non è infatti escluso che, nonostante le evidenti difficoltà del settore, l’offerta continui a difendere gli attuali livelli di mercato, anche a rischio di una riduzione del numero di contratti più marcata di quella ad oggi prevista.