“Per quanto ancora attardato se paragonato a quello dei più importanti player internazionali, il mercato dei pagamenti digitali italiano presenta spunti di crescita continui e rimarchevoli, lasciando, tra l’altro, intravedere notevoli margini di crescita da qui ai prossimi anni. Tra il 2017 e il 2018 (dati dell’osservatorio del Politecnico di Milano), la quota dei new digital payment è cresciuta raggiungendo gli 80 miliardi di euro, circa un terzo dei 240 miliardi effettuati con carta e in crescita del 56% rispetto all’anno precedente. I pagamenti effettuati tramite il cellulare (mobile proximity payment) crescono ancora di più, in maniera esponenziale (+650%) e raggiungono i 530 milioni di euro transati nel 2018, con oltre 15,6 milioni di operazioni effettuate. Entro il 2022, poi, potrebbe esserci il sorpasso dei pagamenti con carte e wallet su quelli in contanti ma, per il momento, lo scenario nazionale vede ancora la prevalenza dell’uso della cartamoneta”. Così Maurizio Pimpinella, presidente dell’Associazione prestatori di servizi di pagamento (Apsp) nel suo discorso di apertura dell’assemblea annuale.
Gli italiani, ha aggiunto Pimpinella “sono ancora profondamente legati all’utilizzo del contante, vuoi per una questione culturale vuoi per alcuni presunti motivi di comodità, però è anche evidente la crescita dei pagamenti innovativi che attraggono sempre più persone. Un sintomo che è in corso un cambio di paradigma culturale che denota la presa di coscienza da parte di sempre più persone non solo della comodità dei pagamenti digitali ma anche della loro efficienza e sicurezza”.
In questo contesto l’Italia, ha spiegato il numero uno dell’Apsp “ha bisogno di cospicui investimenti in ricerca e sviluppo per colmare il divario che la separa dalla media degli altri paesi europei. Nella fattispecie, sarebbero necessari investimenti per 3 miliardi di euro nel settore pubblico e 9 in quello privato, in quanto il primo non riesce a compensare i ridotti investimenti del secondo. La crescita tecnologica che si profila in questi mesi, accompagnata da un rilevante cambio culturale e delle abitudini dei consumatori, non può che essere fonte di ulteriore incentivo al parallelo incremento dei pagamenti digitali. Non si può nascondere, infatti, che la diffusione di reti di connessione veloce, l’aumento della capacità di elaborazione dei calcolatori, la diffusione dei dispositivi mobile e delle tecnologie relative all’utilizzo sempre più diffuso di strumenti IOT, il cloud, la raccolta e l’elaborazione sistematica dei dati, l’implementazione dell’intelligenza artificiale eccetera abbiano enormemente agevolato la diffusione degli strumenti innovativi e il loro ingresso negli usi e nei costumi più comuni a tutti noi. Segnali di crescita, ancorché spesso poco decisa e poco omogenea sul territorio, sono già riscontrabili nel nostro Paese. Secondo una recente ricerca operata da Cisco, nel 2022 i device connessi a reti italiane saranno 165 milioni con una crescita annua dell’11,1% rispetto al 2017″.
Nonostante la crescita degli strumenti digitali “mancano ancora due componenti fondamentali per allineare l’Italia ad un contesto competitivo internazionale più adeguato: competenze approfondite e diffuse e un impianto infrastrutturale ramificato e omogeneo. Sempre dalle rilevazioni della Commissione Europea emerge che l’Italia è indietro nella piena realizzazione dell’accesso ad internet ad altissima velocità e si sottolineano ritardi anche nell’attuazione degli investimenti che riguardano la banda larga. Uno scenario questo che va affiancato al livello di digitalizzazione generale del nostro Paese”.
In questi mesi il governo “sta approntando una politica che vira con decisione verso l’innovazione e il sostegno alle attività che recano un alto valore aggiunto. Da primo, infatti, sono stati confermati gli incentivi all’industria 4.0 già previsti dai precedenti governi. Un segnale di continuità verso una misura necessaria per l’ammodernamento dell’infrastruttura industriale nazionale. Importante, a questo proposito, è l’inaugurazione del fondo per le start-up recentemente varato. Uno strumento che permette di ‘allevare’ nel nostro Paese le eccellenze e le idee innovative prima che si dirigano verso altri contesti. Allo stesso modo, sono da valutare positivamente il bonus per l’innovazione e gli incentivi per l’assunzione di esperti in innovazione per le imprese. È da considerare di grande valore l’architettura normativa, tecnica e politica che il Governo sta costruendo attorno alla tecnologia blockchain. Il primo passo in tal senso, la cui criticità avevamo evidenziato per primi già circa un anno fa nel corso del Digital & Payment Summit 2018, è stata l’adesione dell’Italia alla European Blockchain Partnership: un atto dovuto per portare il Paese in un consesso che gli è più proprio”.
I benefici introdotti dall’innovazione tecnologica “vanno rapportati ai rischi che comporta l’utilizzo dei più avanzati sistemi innovativi. La cyber security assume in questo contesto un rilievo mai avuto prima d’oggi. La tutela dei dati, delle transazioni, della sicurezza stessa dei clienti, in senso stretto e in senso lato, sono la conditio sine qua non per procedere a qualsiasi processo economico e finanziario coinvolto dall’avvento del digitale. Gli attacchi informatici sono oggi una delle principali cause di preoccupazione di Stati e imprese perchè da questi può dipendere un fortissimo condizionamento delle proprie attività e dei risultati economici che ne conseguono. Il rapporto Clusit 2019 ci affida una esaustiva panoramica dell’attuale situazione. Senza utilizzare parafrasi, è necessario dire che il 2018 è stato presentato come l’anno peggiore di sempre sotto il profilo della pervasività delle minacce del dominio cibernetico ed anche per entità degli impatti conseguenti ad eventi di crimine cibernetico. Quello che rileva maggiormente, è il trend di continua crescita dei cyber attacchi, tanto sotto il profilo quantitativo tanto sotto quello qualitativo. Nel rapporto è evidenziato che nell’ultimo biennio il numero di attacchi classificati come ‘gravi’ è cresciuto di dieci volte rispetto al biennio precedente, anche per l’effetto moltiplicatore attribuito al grado di severità degli impatti rilevati. Solo nel 2018, sono stati rilevati 1.552 attacchi gravi (+ 37,7% rispetto all’anno precedente), con una media di 129 attacchi gravi al mese (rispetto ad una media di 94 al mese nel 2017 e di 88 su 8 anni). Secondo i dati dell’Osservatorio Information Security & Privacy della School of Management del Politecnico di Milano, i cyber attacchi subiti dalle imprese sono finalizzati a truffe, come phishing e business email compromise (83%), estorsioni (78%), spionaggio (46%) e interruzione di servizio (36%). Ma nei prossimi tre anni le aziende temono soprattutto spionaggio (55%), truffe (51%), influenza e manipolazione dell’opinione pubblica (49%), acquisizione del controllo di sistemi come impianti di produzione (40%). È chiaro che il continuo attacco dei sistemi nformatici è in grado di compromettere lo sviluppo dell’intera economia digitale, minando alla base il principi su cui si fonda: fiducia e sicurezza. La tutela del consumatore deve essere la principale fonte di investimento di stati e imprese in quanto da questa dipende a cascata anche la crescita dell’intero settore”.
Il mercato digitale e dei pagamenti e lo stato di avanzamento della digitalizzazione italiani non sono ancora giunti ad una fase di piena maturazione, ha concluso Pimpinella. “Nonostante ciò, emergono significativi segnali che indicano una più che probabile inversione di marcia tesa a favorire sia lo sviluppo di una società incentrata sui pagamenti elettronici sia una più ampia diffusione di strumenti e competenze digitali. La diffusione nell’utilizzo dei sistemi di pagamento innovativi, ad esempio, è in costante crescita nel tempo, anche grazie a una sistematica opera di sensibilizzazione sul tema. Il problema del gap con gli altri paesi, quindi, va ricercato in due componenti collaterali. La prima è che altri paesi, come ad esempio la Cina (per la quale valgono anche motivazioni di natura socio – politica) ma anche la Svezia o la Danimarca, sono partiti prima e con più decisione nella predisposizione di iniziative tese al passaggio al cashless; la seconda è dovuta al ‘ritmo’ col quale crescono queste novità. Il problema dell’Italia, infatti, non è che non cresca affatto nell’utilizzo dei pagamenti elettronici quanto, semmai, che non lo faccia allo stesso modo (o più) di altri e ciò vanifica in parte il pur tangibile incremento. L’impegno profuso ha già portato degli innegabili risultati ma è questo il momento di impegnarsi ancora di più e spingerci oltre l’inerzia del momento per ottenere dei risultati stabili e duraturi nel tempo. I pagamenti sono il filo conduttore, talvolta più marcato, talvolta meno, di quanto detto fino ad ora. Allo stesso modo, nessun aspetto dell’economia e della politica internazionale può dirsi davvero esaurito se non si è affrontato nei dettagli questo tema. Il momento economico, politico e finanziario attuale non deve essere un freno alla crescita ma, anzi, lo stimolo per intraprendere quelle iniziative coraggiose, e talvolta drastiche, di cui l’Italia ma anche l’Europa hanno bisogno. Le rendite di posizione di cui ci siamo avvalsi fino ad ora non bastano più a garantirci la prosperità cui siamo abituati. Abbiamo bisogno di mirati piani di incentivo e investimento nei settori nevralgici della formazione e dell’innovazione, anche per non sperperare le limitate risorse di cui disponiamo. Per fronteggiare una fase così delicata, sarebbe necessario l’avvio di un rinnovato e profondo processo di integrazione europea, l’unico vero contesto grazie al quale le eccellenze italiane possono trovare il modello amplificatore in grado di valorizzarle e renderle competitive nei confronti di partner e concorrenti. Per raggiungere ciò, però, il nostro Paese deve a sua volta avviare riforme strutturali e la piena digitalizzazione dei sistemi pubblici e privati non può che essere una di queste, se non la più importante. Il “sistema Italia” possiede delle importantissime potenzialità che deve però esprimere per entrare a pieno titolo nel consesso internazionale. La fortunata struttura del nostro sistema produttivo anche se, per caratteristiche, incapace di sviluppare economie di scala è, però, in grado di raggiungere punte di eccellenza che meritano di essere valorizzate, incentivate e sostenute a livello sistemico per il bene stesso dell’economia e della società italiana. La strada da percorrere è ancora tanta e non mancheranno battute d’arresto e ostacoli, ma l’auspicio è quello di essere riusciti ad avviare un meccanismo virtuoso di ammodernamento dell’intero sistema Paese”.