Un’astronave, la Cassini Vector, sta per raggiungere il punto più lontano mai toccato da un equipaggio umano, vale a dire Encelado, luna ghiacciata di Saturno, dove non è impossibile pensare che siano presenti forme di vita. Contemporaneamente un team segue la missione dalla Terra, mentre un data hider si ritrova per le mani del materiale multimediale para-religioso e l’ombra di un’organizzazione mafiosa conosciuta come “La rete” si allunga sull’intricata vicenda. Sono questi gli spunti narrativi alla base di La seconda era spaziale, un libro di Roberto Tirrito acquistabile in pre-ordine su Bookabook, dove è attiva una raccolta in crowdfunding che si chiuderà tra 25 giorni.
Tirrito, classe 1988, è da sempre appassionato di letteratura. Oltre a essere autore di racconti e romanzi inediti, ha studiato musica, specializzandosi sulla chitarra e sul basso, e coltivato le sue passioni per la grafica e per il rugby. Con lui parliamo della sua ultima fatica letteraria.
Partiamo dal crowdfunding…
L’esperienza del crowdfunding è stata e continua ad essere una sfida personale; anche se condivisa, poiché sta tutto lì, il senso del crowd, rimane comunque un’idea, da realizzare, di qualcuno. L’ultimo mese di crowdfunding mette duramente alla prova, poiché si è vicini alla vetta ma ancora si vedono solo nuvole. Tutto ciò che si è raggiunto fino a quel punto potrebbe essere vanificato per pochissime copie: ecco, questo è il momento di dare tutto e osare. Sì, ma come? Il rischio di cadere nel kitsch è palpabile ma, ancor più plausibile è il rischio che la speranza di raggiungere l’obiettivo ottenebri la realtà. Ogni campagna di crowdfunding è soggetta a questi rischi ma nel campo letterario-artistico aumentano sensibilmente; basti considerare l’immaginazione di un creativo, già fervida di per sé, mista a quell’obiettivo che si scorge fra le nubi. Mi rimangono 63 copie, ne ho piazzate 137 e, come scrivo nel romanzo ‘Se Einstein ci ha lasciato qualcosa, non sono tanto le leggi fisiche quanto l’importanza di cambiare la prospettiva sulle cose, (la relatività dell’osservatore)’. Bene finora, ma non è abbastanza.
Come è nata l’idea di questo libro?
Alla base di tutto c’è un aneddoto che vede coinvolti un drone e una libellula. Oltre a sembrare il titolo di una favola, è il primo appunto in assoluto che ho scritto. In seguito questo appunto è diventato dello scienziato Andrea Minini, personaggio da scoprire nel corso del romanzo. Questo incipit si è poi evoluto nella domanda che cerca una risposta nella trama: “perché la tecnologia, generata dall’uomo non può essere considerata parte integrante della natura?”
Di cosa parla l’opera?
Di un futuro non ben definito, abbastanza remoto da permettermi di fantasticare, con le dovute garanzie scientifiche. Questo futuro è la “seconda era spaziale”, nel corso della quale si verifica una nuova corsa allo Spazio e a Marte. È questa l’ambientazione che fa da sfondo a una storia che ho ideato e scritto anche per esprimere il mio amore per la lingua italiana e per il dialetto come elemento espressivo imprescindibile della nostra cultura. Come Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot, anche io ho voluto dare il mio contributo per far vedere che il Bel Paese è in grado di maneggiare astronavi e conflitti mondiali e che “gli alieni non atterrano solo negli Usa”. Era proprio questo il titolo iniziale del libro, poi scartato. Il romanzo presenta molti neologismi, creati ad hoc per la narrazione, derivati dal mio passato come musicista e dal mio presente come grafico. C’è un’attenzione particolare ai suoni evocativi, ai simboli e ai loghi, pensati per cercare di immergere il più possibile il lettore nella trama. Sulla copertina si trova Rocket neon, 15x15cm – Paolo Amico, un’opera d’arte realizzata con penne biro. Se non è particolarità questa…
Perché hai scelto la fantascienza?
Non mi sono voluto discostare da Asimov, autore che ho amato e apprezzato sia per lo stile che per la limpidezza espositiva. Da lui ho cercato di prendere questo: pochi fronzoli e giustificazioni scientifiche dove possibile. Ho anche divorato Philip K. Dick, che è stato un tornado di idee e spunti. A loro ho aggiunto la fantascienza russa e parecchi altri autori classici.
Per quale motivo vale la pena leggere il tuo libro?
Per la completezza espositiva. Sia nel romanzo che nella campagna di crowdfunding ho utilizzato tutto ciò che di creativo conosco, così da aumentare al massimo la forza espressiva. Sulle mie pagine social ho pubblicato tutto quanto: grafiche, illustrazioni (con la prevendita il primo omaggio immediato è il pdf del romanzo, completo delle bozze, per rendere ancora più partecipi gli investitori), oggetti presenti nel romanzo progettati in 3D e la loro effettiva realizzazione, oltre i gadget e alle presentazioni.