“Il Governo ha penalizzato il risparmio delle famiglie e quindi la proprietà immobiliare per favorire esclusivamente i beni mobiliari e gli impieghi finanziari. Le tasse sulla casa sono aumentate e hanno danneggiato oltre che le transazioni immobiliari, il ceto medio e i piccoli risparmiatori in generale”. Nei giorni scorsi, durante l’ultimo consiglio nazionale, i vertici della Fiaip sono tornati a criticare la politica attuata dall’esecutivo Monti nel settore del mattone. Citando uno studio commissionato dalla Confedilizia, la Federazione italiana degli agenti immobiliari professionali ha sottolineato come già nel 2009, tra imposte dirette e indirette sulla casa, in Italia il livello di tassazione degli immobili fosse all’1,45% del Pil, contro l’1,44% della media Ocse, l’1,32% dei Paesi Ue e l’1,26% dell’Eurozona. A causa dell’introduzione dell’Imposta municipale unica, hanno aggiunto i portavoce dell’associazione, l’imposizione fiscale sugli immobili oggi arriva al 1,7%, e dall’inizio della crisi nel comparto sono stati persi più di 360mila posti di lavoro posti. Abbiamo raggiunto al telefono Samuele Lupidii, vice presidente nazionale della Fiaip con delega alla mediazione creditizia, e gli abbiamo rivolto alcune domande per capire quali sono le proposte della federazione per uscire da questa situazione.
Quello attuale non è certo un buon momento per il mercato immobiliare. Gli ultimi dati dell’Agenzia del territorio parlano di una caduta del 26,8 per cento nel terzo trimestre di quest’anno. Ma la colpa è tutta del governo?
Noi riteniamo che se non cambia qualcosa a livello di legislazione, con provvedimenti mirati che possano supportare la possibilità di acquisto e di compravendita, le previsioni nel breve e nel lungo periodo non siano affatto positive. Senza dubbio la ragione principale del blocco delle compravendite deve essere individuata nell’attuale sistema di tassazione, che appare per certi versi addirittura vessatorio. Il Governo, in questa fase delicata che il Paese sta attraversando, chiede continuamente che vengano formulate proposte di risanamento “a saldo zero”. A questo proposito vorrei richiamare l’attenzione su un dato: rispetto a due o tre anni fa il numero di compravendite è calato di circa 300-350mila unità, passando più o meno da 700mila alle attuali 400mila. Conseguenza diretta di ciò è una contrazione sensibile del gettito, contrazione che non è certo stata compensata dalle entrate ottenute tramite le nuove tasse sugli immobili. È necessario rendersi conto che far ripartire il mercato immobiliare è una priorità, dato che se questo settore si rimettesse in moto, sarebbe l’intero sistema economico a trarne beneficio.
Avete avanzato proposte concrete all’esecutivo?
Abbiamo organizzato un convegno per il prossimo 24 gennaio, al quale sono stati invitati a partecipare tutti gli esponenti del settore immobiliare. Insieme a loro, attraverso un confronto aperto, intendiamo formulare delle proposte da presentare alle istituzioni.
Il settore immobiliare però non è in crisi solo in Italia. Anche nel mondo anglosassone, ad esempio, è in grande difficoltà, soprattutto negli Stati Uniti…
Negli Stati Uniti il mercato immobiliare è stato utilizzato soprattutto per portare avanti enormi speculazioni. Emblematica di questo stato di cose è la drammatica vicenda dei mutui subprime. Gli speculatori avevano scommesso sul continuo rialzo dei prezzi, anche se era chiaro che questi non sarebbero potuti aumentare in eterno, e che a un certo punto la bolla che si era creata sarebbe esplosa, come puntualmente si è verificato. In Italia il mercato è completamente diverso, perché gli acquisti di tipo speculativo sono assolutamente marginali: la maggior parte delle persone compra una casa per andarci a vivere, per trascorrerci le vacanze o per affittarla; raramente si ha l’intenzione di rivendere e lucrare sulla differenza di prezzo. Da noi non c’è ragione di aspettarsi un crollo verticale dei prezzi come quello che si è verificato negli Usa. Ci sarà una riduzione, ma in ogni caso non si scenderà al di sotto di un certo livello.
A parte il rallentamento del mercato, un altro problema con cui gli addetti ai lavori sono chiamati a confrontarsi in questo momento è il secondo correttivo al D.Lgs. 141 del 2010, che ha stabilito la netta separazione tra agente immobiliare e mediatore creditizio…
Il grande problema è che gli agenti immobiliari sono stati sostanzialmente spazzati via dalla filiera del credito. Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha sottolineato esplicitamente che non è consentita neppure la semplice segnalazione di un prodotto finanziario. È logico però che nel momento in cui un cliente valuta se acquistare un immobile, la sua necessità sia quella di conoscere anche il prezzo dell’operazione e i costi collegati. Fino ad ora, invece di andare a destra e sinistra spendendo enormi quantità di tempo per il “giro delle sette banche”, ci si poteva rivolgere all’agente immobiliare con cui si era in trattativa, un professionista che poteva fornire la propria consulenza e indirizzare l’acquirente. Le nuove disposizioni hanno vietato questa possibilità, spezzando una cinghia di trasmissione fondamentale per il funzionamento del mercato. È chiaro che trattare separatamente l’immobile oggetto di una compravendita e il mutuo che consente l’acquisto rende molto più tortuoso e complicato l’intero processo, non solo per il venditore ma anche e soprattutto per l’acquirente.
Cosa si può fare per risolvere la questione?
Prima dell’approvazione del secondo correttivo noi avevamo proposto la possibilità per gli agenti immobiliari di segnalare quanto meno una banca o una società di mediazione creditizia. Evidentemente il nostro suggerimento non è stato colto. In ogni caso la Fiaip intende continuare a lavorare per far sì che in un prossimo correttivo questa modifica venga recepita. Nell’ultimo incontro, il direttore della Direzione V del dipartimento del Tesoro, Giuseppe Maresca, si è detto possibilista su questo punto e dunque siamo fiduciosi.
Per il resto cosa pensate della riforma della mediazione creditizia?
Il nostro giudizio nel complesso è positivo. Siamo sempre stati convinti che il settore necessitasse di una profonda revisione che portasse un po’ di ordine. Le professioni di mediatore e agente sono centrali per il settore del credito ed è giusto che per esercitarle sia richiesta un’adeguata formazione, soprattutto in una fase come quella attuale in cui singoli e famiglie affrontano difficoltà crescenti e un investimento sbagliato può portare conseguenze disastrose. Detto questo, dobbiamo anche aggiungere che con alcune piccole correzioni il provvedimento sarebbe stato pressoché perfetto. Da questo punto di vista si è forse persa un’occasione di fare un lavoro ottimo invece che semplicemente buono.