A dieci anni dall’introduzione della Legge Golfo-Mosca, che impone quote crescenti di consiglieri donna nei consigli di amministrazione delle società quotate, l’obiettivo è stato raggiunto: le consigliere sono passate da circa il 7% del 2011 al 37% del 2020 (fonte: Consob). Tuttavia il tema della parità di genere fatica a farsi strada nell’agenda del cda e nell’organizzazione nel suo complesso. È questo il risultato di una ricerca qualitativa condotta da Simona Cuomo e Zenia Simonella dell’Osservatorio Diversità, Inclusione e Smart working, SDA Bocconi School of Management, in collaborazione con Valore D e sponsorizzata da Generali e McKinsey.
Le autrici hanno intervistato circa 140 tra consiglieri (nella maggior parte indipendenti donne) amministratori delegati e presidenti e alcuni opinion leader (scelti tra giornalisti e membri di importanti istituzioni) tra giugno 2020 e febbraio 2021.
Scardinati i meccanismi consolidati di scelta dei consiglieri
La maggior parte degli intervistati riconosce che la legge Golfo-Mosca ha portato “un soffio di aria fresca” in organi spesso alimentati da network chiusi, scardinando meccanismi consolidati di scelta dei consiglieri. Questo rinnovato processo ha contribuito a cambiare il volto dei cda, malgrado il bacino di donne che hanno avuto accesso ai consigli sia ancora limitato e che, anche per quest’ultimo motivo, si siano innescati fenomeni di interlocking simili a quelli dei consiglieri uomini.
Il contributo delle nuove figure femminili
Dalla ricerca emerge che il contributo delle donne è stato importante nell’arricchire l’attività del cda in termini di una maggiore richiesta di trasparenza e approfondimento delle informazioni a disposizione; una forte attenzione alla compliance e al rispetto della normativa; l’introduzione di nuove prospettive sui problemi; una maggiore capacità di armonizzare le dinamiche del cda disinnescando situazioni di conflitto. Complessivamente il loro contributo è stato percepito più efficace nelle attività di controllo che nelle questioni organizzative e di business, anche perché le donne entrate nei cda spesso provenivano dalla libera professione o dal mondo accademico e meno da posizioni manageriali.
Diversity & inclusion, impegno sporadico e individuale
“L’aspettativa, non necessariamente corretta, che le consigliere donne portassero nei cda il tema della diversity e del gender gap è stata prevalentemente disattesa – commenta Barbara Falcomer direttrice generale Valore D -. Lo riportano anche le Alumnae InTheBoardroom, molte delle quali oggi siedono nei consigli di amministrazione. L’impegno sul gender gap e in generale sulla strategia di diversity è stato sporadico e individuale. Per questo stiamo lavorando da qualche tempo per preparare donne e uomini, alleati irrinunciabili, sulla strategicità per le aziende di occuparsi di diversity & inclusion come fattore critico di crescita e sostenibiltà del business”.
Dalla ricerca si apprende che nei casi in cui il tema della diversity & inclusion è stato portato in consiglio, questo è successo a valle di un lavoro nei comitati endoconsiliari, di un dialogo con il management e usando gli strumenti già a disposizione del cda per affrontare il tema a livello di organizzazione complessiva. Emerge anche un altro spunto di riflessione: alcuni intervistati hanno sottolineato come le azioni di pressione e di spinta da parte delle consigliere siano state poco frequenti; la motivazione è principalmente legata alla convinzione diffusa che la parità di genere sia un tema operativo, gestionale, di cui si occupa l’amministratore delegato insieme al direttore hr. Manca ancora la consapevolezza che le politiche sul capitale umano sono parte integrante della strategia aziendale e un fattore critico di successo.
“Pertanto, nonostante esistano all’interno dell’attività del consiglio diversi luoghi e strumenti per poter stimolare il dibattito, in questi dieci anni di applicazione della legge il tema non sembra essere entrato a pieno nell’agenda dei consigli di amministrazione. Di conseguenza, non sembra essersi creata quella cinghia di trasmissione tra cda e organizzazione che avrebbe potuto promuovere con più forza la parità di genere a tutti i livelli organizzativi. Secondo le persone intervistate, sarà soprattutto la pressione degli investitori istituzionali sui temi Esg (Environment, Social Governance) a dare la spinta decisiva affinché le imprese si occupino della parità di genere come tema strategico”, conclude Simona Cuomo, coordinatrice dell’Osservatorio Diversità, Inclusione e Smart working, SDA Bocconi School of Management.