Valerio Angeletti, presidente nazionale della Fimaa: “Ci stiamo battendo per l’affermazione della figura giuridica e professionale del promotore creditizio”

“Siamo sempre stati convinti che una riforma del settore della mediazione creditizia fosse assolutamente necessaria, perché l’impostazione originaria data dal legislatore presentava una serie di criticità che dovevano essere eliminate. Certo, da qui ad approvare una disciplina lacunosa e contraddittoria che porterà alla scomparsa di decine di migliaia di operatori attivi da anni nel comparto del credito, chiaramente, c’è un abisso. Per questo la Fimaa continua a non condividere l’impianto del decreto legislativo 141/2010”. Senza metafore né giri di parole Valerio Angeletti, presidente nazionale della Fimaa, torna ad esprimere tutte le perplessità che il secondo correttivo al D.Lgs. 141 non cessa di suscitare tra gli addetti ai lavori. “Quello che abbiamo ribadito più volte è che il processo di ristrutturazione delle società di mediazione creditizia, per come è stato concepito, presenta dei costi e degli oneri assolutamente sproporzionati per la maggior parte delle società”. Un fatto che sembra confermato dal numero esiguo di soggetti passati dal vecchio elenco al nuovo: al momento si parla di una cinquantina di società di mediazione, a fronte di un universo che in precedenza era costituito da circa 130mila soggetti, tra persone fisiche e persone giuridiche. Cosa accadrà a questi operatori? Come cambierà il comparto? Chi sarà tra i sommersi e chi tra i salvati? A SimplyBiz Angeletti spiega quali sono le sfide che in questo difficile momento i professionisti del settore della mediazione si trovano ad affrontare.

Che la riforma avrebbe portato a un restringimento del mercato era stato ampiamente previsto. Ora che si è entrati nella fase operativa, però, la realtà sembra molto peggiore delle aspettative. Il settore verrà veramente “falcidiato”, come molti temevano?

L’obbligo di costituire società con 120mila euro di capitale imposto dalla nuova disciplina porta necessariamente con sé un aumento dei costi di gestione, cui si aggiungono la necessità di affidarsi a dei revisori dei conti, di provvedere a una formazione professionale continua e di gestire processi interni di elevata complessità. Il discrimine che è stato individuato dal legislatore per riorganizzare il settore è stato quello della capacità di capitale, che però non può essere vista come l’unica garanzia di professionalità, perché in questo modo si obbligano di fatto decine di migliaia di professionisti a uscire dal mercato. E senza che ci sia un ricambio, visto che la disciplina non consente a soggetti giovani di potersi avventurare in un processo di costituzione societaria, considerato che i requisiti richiesti presuppongono un percorso professionale eccessivamente articolato, che in un contesto economico come quello attuale è di fatto quasi impossibile portare a compimento. Questo determina una situazione per cui giovani qualificati e intraprendenti, magari usciti dall’università con il massimo dei voti, si ritrovano impossibilitati a mettere in piedi una propria società. Non è certo questo il liberismo che l’Europa ci sta chiedendo di introdurre nel nostro Paese.

A proposito di liberismo, qual è la vostra posizione a riguardo all’obbligo di monomandato? E in merito alla questione dei collaboratori?
Consideriamo l’obbligo di monomandato del tutto ingiustificato. Non comprendiamo per quale motivo un agente in attività finanziaria non possa offrire ai propri clienti il miglior prodotto presente in un dato momento sul mercato e sia invece tenuto a proporre sempre e soltanto lo stesso. Ancora più grave però, è la questione dei collaboratori, o meglio dei promotori creditizi, come è più corretto chiamarli. La nuova legge fa sì che il rapporto tra questi soggetti e i mediatori debba passare obbligatoriamente per un’agenzia di rappresentanza, escludendo qualsiasi tipo di rapporto di dipendenza, che viene invece utilizzato in tutti i network e le strutture aziendali. Di fatto questa riforma ha fatto sì che i promotori del credito abbiano perso il ruolo di imprenditori che ricoprivano in precedenza, ritrovandosi a essere soggetti che vivono solo di riflesso rispetto alle società di mediazione creditizia con cui hanno un rapporto. Per questo motivo uno dei risultati per cui ci stiamo battendo è quello di garantire che i promotori creditizi siano inquadrati attraverso una figura giuridica e professionale ben riconosciuta.

Dal punto di vista della formazione, come si sta muovendo la vostra federazione?
La Fimaa considera la formazione la base di tutti i rapporti di consulenza, sia per i mediatori creditizi che per gli agenti in attività finanziaria. Non a caso abbiamo dato vita a un nostro ente preposto specificamente a questo compito, il Fimaa Forma, e a breve faremo partire il primo corso per chi intende sostenere la prova valutativa per diventare collaboratore. È chiaro che questa riforma porta con sé una necessità di formazione che va ben oltre le ore previste dalle nuove norme, e la nostra federazione si è preparata a supportare tutti gli iscritti nella maniera più adeguata.

La Fimaa ha scelto deliberatamente di non prendere parte al processo che ha portato alla costituzione dell’Organismo per la tenuta degli elenchi dei mediatori e degli agenti. Ci spiega perché?
Il motivo è semplice. Ci è sembrato assurdo che un organismo di controllo fosse formato dalle associazioni di categoria, e che coloro che devono essere controllati siano gli aderenti alle stesse associazioni. Partendo da questi presupposti, riteniamo che i problemi di gestione che l’Organismo ha registrato non debbano essere attribuiti all’istituzione in quanto tale, che ha lavorato nel migliore dei modi per quelle che erano le sue possibilità, ma alla nuova disciplina, che non ha offerto all’Oam gli strumenti necessari a svolgere bene le proprie funzioni.

Questa riforma, insomma, andrebbe riscritta dalla prima all’ultima riga…
In realtà, come è noto, in Italia non si è mai riscritta una legge prima di dieci o quindici anni. Ma noi ovviamente non possiamo permetterci di attendere tempi così lunghi. Siamo preparati a portare avanti un’azione di supporto nei confronti di tutte le aziende e di tutti gli operatori che rimarranno nel settore, con l’obiettivo di arrivare alla creazione di una nuova figura di promotore del credito, ciò che veramente manca nel nuovo impianto legislativo. Detto questo, restiamo comunque in attesa di conoscere il giudizio del’Unione Europea su alcuni dei punti critici della nuova disciplina. Evidentemente se l’Ue si esprimerà contro la legittimità di alcune norme, queste dovranno essere modificate.

Se potesse indicare al legislatore uno dei buchi che la riforma ha mancato di tappare, quale sottoporrebbe alla sua attenzione?
Al momento di problemi ce ne sono molti. Uno di quelli che consideriamo tra i più urgenti è quello degli agenti immobiliari, che hanno sempre rappresentato la categoria che portava alla stipula dei migliori mutui, quelli con la più bassa percentuale di insolvenza, e a cui la nuova disciplina ha proibito di segnalare prodotti di credito. A questo proposito noi riteniamo che sia il mercato stesso a richiedere che gli agenti immobiliari siano dei punti di riferimento nel processo che porta alla stipula di un prestito immobiliare. Per questo, pur essendo assolutamente favorevoli alla netta separazione tra la figura del mediatore creditizio e quella dell’agente immobiliare, pensiamo che la necessaria simbiosi tra i due soggetti debba essere in qualche modo consentita, seppure nel pieno e totale rispetto delle norme.